Ria Lussi

Potrebbe sembrare che le lezioni di disegno le abbia prese al contempo da Pablo Picasso e da Jacovitti, il gioco del colore lo abbia imparato da un incrocio fra Fernand Léger e Fortunato Depero. In realtà Ria Lussi fa da crogiolo fra tutte le sperimentazioni del secolo che la precede per inventare quello d’oggi, e se crogiolo deve essere quale migliore se non quello dove il maestro vetraio scioglie la sua preziosa materia in un calore indicibile nel quale i colori non si vedono se non una volta l’opera finita e raffreddata…

E poi vi è quella inclinazione magica che si chiama “verve”, la capacità energetica del volere essere allegra, il che è diventata con la nostra epoca recente una delle prime eccellenze del mondo femminile che si libera nelle arti e che ebbe come grande sacerdotessa la fenomenale Niki de Saint Phalle, quella che trasformava i segmenti della sua fantasia in pupazzi colorati e pieni di vita. Dagli anni lontani della grotta paleolitica la mente femminile è multitasking, capace di operare contemporaneamente su diversi piani. Ria Lussi sembra volere comprovare la complessità di questa apodittica affermazione. Dagli anni del mito di Penelope, la donna mediterranea è esperta d’una abilità manuale che impara dal il telaio il fulcro della creatività suscettibile di trasformare il cosmo e il tempo. Dagli anni di Merlino il Mago, lei è la fata Morgana che illude i marinai con le visioni fantastiche di mondi insospettati.

La storia epica degli imperatori romani si va quindi a fondere con pupazzi ossessivi dell’infanzia, il sorriso da etrusco si fa contemporaneo o forse eterno, l’occhio si stupisce e sorprende. E la linea inizialmente sottile del disegno si carica di colore, e poi ancora il colore si fa materia, e infine la materia si fa forma. La forma danza un suo ballo sottile di materia colorata. Ma il tutto sarebbe solo esercizio se non fosse animato da una curiosa magia: i personaggi non sono pupazzi. Come in un cartone animato

di Philippe Daverio

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